lunedì 17 gennaio 2011

Intuizioni e comprensioni


"Avevo compreso che la scrittura rappresentava la mia sola e unica possibilità di creare qualcosa, di risalire dal pozzo delle tenebre, realizzare il sogno, e riposare al sole.
Io mi rialzo ad ogni sconfitta schiacciante nella misura in cui il corpo accetta di obbedire alla mia volontà".
Edward Bunker "Educazione di una canaglia"


Foto: Ho perso le parole di Kikka Superstar

lunedì 3 gennaio 2011

Molti intorno ma nessuno troppo vicino

Chi siamo e chi ci definisce?
Il nostro ruolo in società? Il successo? Un amore? La nostra consapevolezza?
Inizio anno, nuovi propositi e le solite inevitabile domande.
Le care vecchie regole, forse è ora di mandarle in pensione, ma a volte ci sono riti ai quali sono abituata, come un comodo maglione sformato che ha preso la forma del mio corpo e con cui mi sento sempre bene.
Così ho deciso che non occorre cambiare tutto, si può anche mantenere e trasformare.
Qualcuno recentemente mi ha scritto: “Fare i conti con se stessi è l'attività più complessa e, spesso, dolorosa che conosca. E tu non te la risparmi. Mai.”
Vedersi con gli occhi degli altri è raro e può essere una piacevole scoperta.

In questi giorni ho avuto un motto: “Molti intorno ma nessuno troppo vicino”.

Seduta sulla riva, immobile, senza volere agire, scoprendo in se una pazienza che pensavo sconosciuta e invece trovarne riserve quasi inesauribili e capire che tutto si trasforma e anche noi dobbiamo imparare, fare i conti con il carattere e con gli eventi.

In queste sere silenziose e solitarie tanti visi mi sono passati davanti, immaginari dialoghi, ricordi della memoria e pezzi di testi mai scritti che avrei voluto recitare.Dizioni imperfette e interpretazioni magistrali, le cose perdute e le cose che restano. Al di là di me: io resto.

Immobile e sperduta alcuni giorni, fiera e coraggiosa altri. Incerta, piena di cose che vorrei e di dubbi. Incapace di muovermi sul delicato terreno delle relazioni.

Sono irrequieta. Lo sono sempre stata. Accettarlo e non combattere sempre è già un passo. E l'irrequietezza non è gestibile, va da sola come se lo decidesse lei, come se non mi appartenesse, come se non fosse la mia.E' autonoma. Si autogestisce. Come un collettivo anni Settanta. Così quando mi accorgo di non perdere la capacità d'ironia, vuol dire che posso ancora salvarmi da me stessa, perché prendersi in giro è l'unico modo per rendere la vita meno dolorosa. Tanto ci pensa lei a rimetterti in riga ogni tanto. E poi un titolo di un libro di Bruce Chatwin è proprio Anatomia dell’irrequietezza. Sulla quarta di copertina c’è scritto: “L’irrequieto che amava pensare camminando”.

Quando metto un passo dopo l’altro i pensieri prendono forma e le passeggiate solitarie e non sono piccoli momenti di trascurabile felicità.