lunedì 15 dicembre 2008

Plagi e miraggi

Per lavoro, per diletto, per carattere osservo, sto attenta alle voci intorno, le registro, le racconto. Non ritengo di avere pubblicato nulla di particolarmente geniale, non sono Woody Allen o Chagall, ma sicuramente io la vita la vivo, non copio quella degli altri.
Ultimamente mi è capitato di essere stata copiata. Un plagio integrale.
Non sono riuscita a vedere il lato gratificante, qualcuno che evidentemente ti ritiene brava a raccontare, ad usare le parole, ho avuto solo la spiacevole sensazione di essere stata violata. Rapimento di testi e pensieri. Come se avessero preso una parte di me, la più privata, la mia immagine su uno specchio che distorce la realtà, amplifica le emozioni e le rende riflessioni.
Mi sono arrabbiata (possedendo ancora un forte concetto della giustizia) ho cercato il fare il possibile per sconfiggere il nemico.
Pare che ci sia riuscita. Le mie storie, le analisi serie e non, sono reali, inventate a metà, ma sono sempre un’attenta osservazione del mondo, vicino e lontano.
Scrivo storie, ma da testarda e cocciuta quale sono – come mi ha ricordato qualcuno – mi sono accorta che non vivo di miraggi, né di plagi.
Vivo e basta. Certi giorni è pure molto divertente
E da oggi terrò gli occhi ancora più aperti, ma continuerò imperterrita ad annaffiare la creativit

lunedì 8 dicembre 2008

E' così e basta

Ho letto recentemente che se c’è una cosa che contiene “torture ripetute” è una storia d’amore.
Si scrive d’amore: poesie, canzoni, racconti, drammi e opere. Si respira. C’è chi imbratta muri, nella disperata ostinazione di tenere ciò che è perduto. In posti uguali e diversi, perché duri di più.
Prima o poi finisce. Invece qualcuno dice che non è finita finchè non è finita.
L’uomo giusto, la donna giusta: perché non si finisce mai di aspettare?
Forse la risposta è che c’è una cosa che resiste al tempo, all’arterosclerosi, all’osteoporosi: l’amore.
Lo sanno i quindicenni, ma anche i sessantenni. Ho conosciuto una persona speciale che si era innamorata a sessant’anni, quello sguardo non lo dimenticherò mai. Era come un proclama alla speranza. Amore e disamore vanno e vengono secondo la legge del caso, delle coincidenze e del caos. E’ forse è sempre quest’ultimo a prevalere.
C’è chi cerca la persona giusta. Come se esistesse, come se non si trattasse di fermarsi ad un certo punto, rimuovere il passato, impegnarsi nel presente e affrontare il futuro non più come un’incognita, ma come un vecchio nemico che concede la rivincita ogni mattina.
L’unico rischio però è quello di fare come spesso mi accade nei viaggi, specie in quelli in macchina. Trovi un posto carino, però magari non è la location perfetta, allora continui e prosegui, ne guardi altri e altri ancora, scartando gli alberghi per un difetto o per l’altro e poi si fa buio e comprendi che ogni alloggio vale l’altro, e devi ammettere che il primo era il migliore. Ma ormai è troppo tardi per tornare indietro.
E si finisce come un personaggio da racconto, sul viale del tramonto a narrare la sua storia a un giovane discepolo che gli chiederà: “Ma perché tutto quel tempo sprecato fra voi? Perché la vita è così orribile?” E lui risponderà solo: “Perché è così e basta”
Foto broken heart di Lady - bug

sabato 6 dicembre 2008

Leggermente

Dicono che le donne che leggono siano pericolose.
Però il pericolo fa battere il cuore e mette addosso adrenalina.

La dida di questa foto dice anche: Donne e libri: le due cose da portarsi a letto...l'importante è non confonderle

Foto di cacciaramarri

martedì 25 novembre 2008

In fila per tre con il resto di due

Anche loro come me sono in fila davanti l'ufficio delle emozioni smarrite

Foto Piccioni in fila di polette2

martedì 18 novembre 2008

Eterni fanciulli

Gli uomini sono dei bambinoni, è inutile negarlo.
Ci proviamo, li innalziamo al ruolo di confidenti, amanti, protettori ( nel senso di cavalieri pronti a difenderci), di eroi a cui ci affidiamo indifese e ingenue, speriamo che il loro arrivo, la presenza ci ripaghi dei bocconi amari, delle delusioni che altri prima di loro ci hanno inferto. Ne facciamo dei principi azzurri e invece sono quasi sempre ranocchi. Simpatici, spesso goffi, buffi e divertenti, ma ranocchi.
In fondo a guardare i principi in circolazione, W i ranocchi. Emanuele Filiberto non me ne voglia, ma urlerò “Ranocchio” finchè avrò voce. E se non funzionasse continuerò anche in altre lingue: Frog (inglese), grenouille ( francese) , rana (spagnolo), лягушка (russo), râ ( portoghese).
Però più di tutto sono in cerca di giocattoli, da una vita e per la prossima a venire.
Giocano con le macchine, con le bambole – specie le bionde Barbie- con la playstation, con il pallone, con la vela, il rugby, la corsa, con qualsiasi sport gli venga in mente, anche il badgminton, ma sempre rapiti dalla loro passione. Come una febbre da cui non guariranno mai. E’ inutile volerli diversi, ci piacciono per questo.
Per quella smorfia sul viso, per gli occhi incollati al televisore, perché puoi presentargli Monica Bellucci in sottoveste, ma se gioca la loro squadra, sono ipnotizzati, puoi persino confessargli un adulterio, tanto ti diranno sempre: ok.
Non ascoltano, di base non lo fanno mai, però in questi momenti è escluso avere una presenza logica, non dico lucida, ma almeno un singolo istante di logica.
In quel loro essere bambini, in quell’inseguire per sempre il “fanciullino” pascoliano risiede il fascino. Smettiamola di ripeterci che vogliamo uomini diversi, questi sono gli unici sul mercato, gli unici capaci di farci battere il cuore.
Uomini con il peluche accanto.
Capaci di intenerirci e innervosirci selvaggiamente nello stesso istante.
Anche se davanti a Silvio e il cu cu ad Angela Merkel veramente non so più che pesci pigliare.
Va bene uomini infantili, però quando è troppo è troppo.
L’unico pensiero che mi viene è che voglio correre ad abbracciare Obama, bello, giovane e abbronzato.
Lui il cu cu mi sa che lo fa a Michelle, “the love of my life” come l’ha chiamata nel suo discorso post vittoria. E mi auguro rigorosamente in camera da letto, in attesa di utilizzare lo studio ovale. Che di giochi, come è noto, ne ha visti molti.

Foto He dreams alone di Fotorita

giovedì 30 ottobre 2008

Gabbiani

Non so dove i gabbiani abbiano il nido,
ove trovino pace.
Io son come loro,
in perpetuo volo.
La vita la sfioro
com’essi l’acqua ad acciuffare il cibo.
E come forse anch’essi amo la quiete,
la gran quiete marina,
ma il mio destino è vivere
balenando in burrasca.

Vincenzo Cardarelli
da “Opere”

La foto prescelta stavolta veniva dal mio album personale, era uno scorcio del lungomare di Ortigia, uno dei miei luoghi del cuore.
Un posto dove ultimamente sono stata sempre molto bene, insieme a qualcuno che ha gli occhi color del mare.
Ma Blogspot continua a impedirmi l'espressione congiunta di immagini e parole.

mercoledì 22 ottobre 2008

Amarcord catanese

A volte ritornano. Ci sono le serate revival. I pomeriggi giovani e gli anni Ottanta. Yuppies e l'edonismo reganiano.
Mancavano le spalline, mancavano alcuni tagli vaporosi e cotonati – anche se ad alcuni con gli anni mancavano proprio i capelli –mancava la puzza di fumo, quella nebbia da prima della legge, poi il revival c’era tutto.
Condito dalla presenza di signorine e signorini che negli anni Ottanta forse stavano nascendo. Per aggiungere la dose di cattiveria quotidiana - che serve a restare vitali - si potrebbe raccontare di “gabbie aperte” con materiale in libera uscita. Costantini e tronisti di recupero, panterone o aspiranti tali. Di certo la merce era in esposizione, tutta sulle mensole del supermercato, packaging dai gusti discutibili, ma c’era tutta. In abbondanza.
Tacchi e corsetti bondage, minigonne e scollature, la sobrietà dimenticata insieme ad una certa dose di conversazione, forget about cultura. Ma quella non è mai richiesta.
A parte questo piccolo panorama alieno, per il resto poteva essere un pomeriggio giovani.
La gente, il clima, la musica. Molti si sono persi per strada, o meglio a casa con bambini e suoceri.
Qualcuno era più difficile da riconoscere, altri intatti come dopo ibernazione.
Un bicchiere un mano, la conversazione intorno al bar.
Alcune cose non cambiano mai.
Passano gli anni, ma non le abitudini. Come se ritrovarle fosse immediato.
L’osservazione degli uomini, i loro sguardi persi dietro tubini di pizzo, calze a tema, trucchi pesanti– decisamente poco adatti al look da Mc Intosh -.
Un “come eravamo” riuscito, così tanto da aver trasportato anche gli allergici ai locali.
Quelli che “frequentavo, ma non amavo nemmeno allora”.
Però poi la nostalgia vince su tutto, specie nella fascia dei quarantenni.
Quella voglia di recuperare per un attimo la leggerezza. Di risentirsi adolescenti.
Per quello basta la musica, basta rivedere gli amici suonare la chitarra, ricordarsi dei concerti al liceo, dei ricordi di allora, il resto non conta. Ti lasci trascinare dalle note e la mente vola. Pericoloso scongelarli.
E comunque una cosa rimane identica, le relazioni e i balletti uomo donna.
Anni Ottanta, Novanta, Duemila…non cambia nulla.
Dietro non ci vedo nessuna crescita, nessuna regressione, tanto inutile tempo sprecato.

mercoledì 15 ottobre 2008

Una sera a Colonia

Che cosa posso insegnarti io? Pochissimo, al massimo raccontarti qualcosa che credo possa aiutarti. Tipo: la senti questa musica che ho nell'auto mentre guido da New Orleans verso Baton Rouge? No, esatto, non è un blues, è Keith Jarrett al piano, da solo, a Colonia, una sera del 1975 (il 24 gennaio del 1975). E' una musica stupenda, sì, questo cd ha venduto 3 milioni e mezzo di copie. E' considerato il picco più alto della sua carriera, l'improvvisazione più riuscita forse di tutti i tempi. E, vuoi sapere?

Keith Jarrett, quando salì sul palco, veniva da due notti insonni, non si reggeva in piedi. Aveva espressamente richiesto un pianoforte che non era arrivato. Quello in dotazione nella teatro gli era parso inadatto, insoddisfacente, l'aveva provato, si era alzato aveva annunciato che il concerto era annullato. Poi, all'ultimo, aveva cambiato idea. I tecnici del suono decisero solo in extremis di mettere i microfoni per registrare la musica per gli archivi, per dovere di cronaca. Alle prime note qualcuno rise, tanto erano fuori registro. Poi fu silenzio. E questo.

Un amico di Jarrett spiegò così quel che accadde: "Probabilmente suonò in quel modo perché non aveva un buon pianoforte. Dato che non poteva innamorarsene, cercò un altro modo di tirarne fuori il meglio".

Non sai mai quando stai per dare il meglio di te, certo non sarà quando sei preparato per farlo. Né sai quando otterrai da qualcuno o qualcosa il meglio. Certo non sarà qualcuno o qualcosa che ti si presenta alla perfezione, senza un problema. Sarai solo sul palco e non avrai una seconda possibilità. E, il più delle volte, non ne tirerai fuori niente. Una volta, però, tutto potrà risultare indimenticabile.

Dice Keith Jarrett: "Vorrei che quel concerto fosse dimenticato, dobbiamo imparare anche a dimenticarla, la musica, o vivremo sempre nel passato".

Prima, però: suonala ancora.

Gabriele Romagnoli


Foto pianoforte di rosping

lunedì 13 ottobre 2008

Chi è più bravo a fingere?

Mi sembra che intorno ci siano solo delusioni, disastri e rotture.
Mi sembra che donne intelligenti misurino la propria autostima sulle cose che non hanno, invece di guardare l’innegabile realtà di successi e ottimi risultati raggiunti.
Sono circondata da donne brillanti, spiritose, colte, coraggiose e sole.
E l’unica cosa che pensano tutte è: dove sbagliamo?
Immerse in uomini e storie d’amore che si potrebbero definire solo: da non rianimare.
E invece testarde e crocerossine.
Forse sono diventata troppo cinica, a volte mi diverte, comincio ad avere bizzarre immagini mentali, in cui il mio pessimismo diventa come l’antirughe per il contorno occhi dopo i 30 anni: necessario e da uso quotidiano.
L’ironia un po’ cattiva mi salva, mi induce riflessioni, lucidità e distacco. Forse mi ha salvata. Certo è una droga che non da assuefazione.
Anzi può essere molto gratificante, non potrei dire lo stesso della speranza.
E’ una droga di cui dobbiamo fare a meno? Cosa è meglio? Smettere di prenderla o è quella che ci tiene in vita?
Croce o delizia, per rifare il verso alla Traviata di Verdi?
In questo eterno minuetto di sensazioni, storie e parole mi sono posta una domanda, ispiratami leggendo un fantastico commento sul fenomeno del momento, ovvero Facebook.
Qualcuno ( elemento di sesso maschile) ha scritto: “Pensava a una tipa, assai competente, che diceva che si, le donne sanno fingere un orgasmo, ma che gli uomini, in compenso, sanno fingere intere relazioni ...”
Quindi spontaneamente mi sono chiesta: Chi è più bravo a fingere? Uomini o donne.
Sotto la superficie siamo tutti scorticati ed esposti, tutti feriti e disillusi.
Ma questo dove ci porterà?
C’è ancora un mondo da scoprire?
E la finzione a cosa porta?

Credo che al prossimo aperitivo avrò conoscenze più chiare per cominciare a buttare le basi per un trattato che provi almeno a spiegare alcune nozioni.
Intanto vi giro la domanda.

P.S. Avevo trovato una bellissima foto, ma da un pò Blogspot si rifiuta di caricare le immagini.
Peccato perchè a volte hanno più forza delle parole, sono evocative. Ma sono caparbia e non mollo mai. Ritenterò

lunedì 6 ottobre 2008

La teoria e la pratica

Siamo circondati da regole e infiniti sistemi per evaderle.
Eppure è più forte di noi, come se la società per esistere dovesse trovare dei limiti, un modo per arginare se stessi.
Così è tutto un fiorire di manuali e libretti d’istruzioni, spesso di galatei.
Per stare al mondo nel giusto modo.
Ma ascoltando le voci intorno, mi sono chiesta: “Esiste un galateo delle relazioni?”
Si dovrebbe scrivere.
Con una particolare attenzione al capitolo: Le regole per lasciarsi e soprattutto, per alcune storie, per non riprendersi.
Sono uscita, ho incontrato visi nuovi e conosciuti, ma l’accento si è posato spesso su sguardi tristi, su uomini o donne in cerca di risposte.
Persi tra la teoria e la pratica. Tra lo stupore di quello che stavano vivendo e l’incapacità di poterlo comprendere, tra il presente e il passato.
Nostalgici e malinconici. A volte incazzati e arrabbiati, ma tutti incapaci di capire.

E’ sempre l’eterno dilemma, tra ciò che credi sia giusto e ciò che non lo è.
In teoria sembra che tutto vada bene, ci sono tutte le tessere del puzzle che incastrano, non ne hai persa nemmeno una. Per la prima volta sembra che tu stia finendo la figura disegnata sulla scatola. Non è da te. Non ci sei mai riuscito.
Ma poi qualcosa non funziona, guardi la foto, vedi quello che hai fatto e manca qualcosa.
In teoria è perfetto, in pratica no.
Ti chiedi perché? Non dovresti, ma lo fai sempre, il cervello vola più veloce del tuo bisogno di frenare le parole.
Forse non devi domandare. Ci sono anche delle non risposte nella vita.
Come ci sono i fantasmi e le sensazioni irrazionali.
Come le tante cose che vanno solo accettate, anche se non comprese.

Ma cosa fare quando i fantasmi ritornano, bussano con forza alla tua porta, passano la notte lì, anche quando tu non apri?
Che diritto hanno?
Esiste un modo per chiudere le relazioni, per non riaprirle, per evitare di girare la testa ed essere assaliti dai pensieri?
Si dovrebbero fare studi approfonditi sulla capacità di rimpianto, sul perché spesso gli uomini - più delle donne - siano incapaci di proferire parole e poi un giorno si accorgano di avere sbagliato tutto.
Esiste una data di scadenza nei sentimenti?
Quando si è certi che è ormai tutto da buttare, che puzza come il burro rancido o lo yogurt andato a male?
In teoria con lo yogurt lo sai, puoi aspettare ancora una settimana per mangiarlo, in pratica decidi sul momento.
Credo che poi funzioni così anche per le relazioni, come sempre bisognerebbe affidarsi all’istinto, ma è la ragione quella che temiamo. Forse perché è lei il nostro grillo parlante.

martedì 30 settembre 2008

La vita segreta delle matite


Il bambino guardava la nonna scrivere una lettera. A un certo
punto, chiese: “Stai scrivendo una storia su di noi? E’ per caso una
storia su di me?”
La nonna smise di scrivere, sorrise, e disse al nipote: “In effetti, sto
scrivendo di te. Tuttavia, più importante delle parole, è la matita che
sto usando. Mi piacerebbe che tu fossi come lei, quando sarai
grande.”
Il bimbo osservò la matita, incuriosito, e non vide niente di speciale.
“Ma è identica a tutte le matite che ho visto in vita mia!”
“Tutto dipende dal modo in cui guardi le cose. Ci sono cinque
qualità in essa che, se tu riuscirai a mantenere, faranno di te un
uomo in pace con il mondo.
Prima qualità: tu puoi fare grandi cose, ma non devi mai dimenticare
che esiste una Mano che guida i tuoi passi. Questa mano noi la
chiamiamo Dio, e Lui ti dovrà sempre indirizzare verso la sua
Volontà.
Seconda qualità: di quando in quando io devo interrompere ciò che
sto scrivendo, e usare il temperino. Questo fa sì che la matita soffra
un poco, ma alla fine esse sarà più affilata. Pertanto, sappi
sopportare un pò di dolore, perché ciò ti renderà una persona
migliore.
Terza qualità: la matita ci permette sempre di usare una gomma per
cancellare gli sbagli. Capisci che correggere qualcosa che abbiamo
fatto non è necessariamente un male, ma qualcosa di fondamentale
per mantenerci sulla retta via.
Quarta qualità: ciò che è davvero importante nella matita, non è il
legno o la forma esteriore, ma la grafite che è all'interno. Dunque,
fai sempre attenzione a quello che succede dentro di te.
Infine la quinta qualità della matita: lascia sempre un segno.
Ugualmente, sappi che tutto ciò che fari nella vita lascerà tracce, e
cerca di essere conscio di ogni singola azione.”

Paolo Coelho
da “Sono come il fiume che scorre”
Foto Colour pencils di AlpeMi

martedì 23 settembre 2008

Le frecce della vita

Camminavo per strada, ho passeggiato ascoltando il rumore dei miei tacchi, con gli occhi aperti a rubare la bellezza del paesaggio e le orecchie attente a registrare eventi e suoni.
Per terra ho trovato un cartello “ Non contate sul nostro silenzio ma solo sulla nostra rabbia”.
Interessante spunto di riflessione.
Si cambia latitudine, ci si allontana per respirare aria nuova, per assorbire cultura e arte, per tuffarsi nell’affetto e nei ricordi buoni.
Come il titolo di un quadro di Balla, si seguono “le frecce della vita”.
Dove portino ancora me lo sto chiedendo…
E’ poi così importante saperlo?
Intorno i suoni, gli umori, le insofferenze sono uguali.
Sembra che città, sesso e territorio non importino, le ricerche e le domande sono identiche. Allora viene da chiedersi: dove abbiamo sbagliato? Cosa stiamo cercando?
Personalmente ho imparato l’allegria di arrendersi per ricominciare.
Perché alla fine arriva il momento in cui bisogna arrendersi e non è nemmeno detto che sia un brutto momento. Al principio sì , lo è, moltissimo.
Brutto, da dire che non si può sopportare. Ma poi invece: quante volte la fine è stata un inizio? Come se la resa fosse un sollievo e dopo va meglio. Può essere perfino una sorpresa, dopo, il principio di una nuova allegria.
Come prendersi cura di sé, affrontare le proprie paure e accorgersi che non sono così spaventose, che si possono vincere. Che basta camminare sui sanpietrini di Roma per ricordarsi che da qui si è cominciato il cammino.
La memoria è la materia di cui siamo fatti. Anche quando vorremmo non ci fosse, quando pezzi di quel puzzle chiamato vita, ti tornano in mente. Basta lasciarli scorrere e ringraziare per averli vissuti.
Rimettersi addosso la rabbia, quella positiva di ogni giorno, aggiustare il proprio sorriso, e non dimenticare mai, nel mio caso, che sono figlia della lava.

mercoledì 17 settembre 2008

Ali di farfalle

“Sogna ciò che ti va; vai dove vuoi; sii ciò che vuoi essere, perché hai
solo una vita e una possibilità di fare le cose che vuoi fare.”

Oggi vorrei essere una farfalla per volare leggera.
Perché mi sento in cima alla montagna, libera di lasciarmi andare. E anche se ho le vertigini, in fondo – come canta Jovanotti – non è paura di cadere.
Volo leggera e mi sono ripresa la mia vita.

foto Butterfly di sam_samantha

lunedì 8 settembre 2008

Parole

Parole, ritmo, suono, vertigine,
sensazione e caduta;
ponte per abbracciare infinite distanze
o chiusura per bloccarne l'accesso;
incollate nel petto per far soffrire
o dar coraggio ad affrontar la vita.
Mille significati che infiammano,
feriscono, carezzano, torturano.
Consolazione che ti culla nei sogni
o perfidia che tormenta negli incubi.
Decifrarla resta sempre un enigma
perchè resta limite estremo
tra verità e menzogna

Poesia di Elisabetta Paternò

domenica 31 agosto 2008

Le assenze

Perdo spesso le parole.
Sento che solo il silenzio può avere un senso, serve per ascoltare i pensieri e per visualizzare con cura i ricordi.
Quelli di oggi sono dedicati a chi è andato via. Alle perdite recenti e a quelle passate.
Per la strana coincidenza degli anniversari.
Emily Dickinson diceva: Conosco vite della cui mancanza non soffrirei affatto,di altre invece ogni attimo di assenza mi sembrerebbe eterno.
Le mancanze dovrebbero servire a ricordare i loro insegnamenti, a non dimenticare mai uno sguardo, una parola, quei gesti semplici. A sentire sempre il privilegio della loro amicizia.

Ed ho imparato
a piangere in silenzio
a masticare
pane e rabbia insieme
a vivere
d'una malinconia maligna
che sole e sogni
e primavera
spegne e di buio
m'avvolge e di memorie.
Ora il tuo riso
fiorisce di luna
e dal silenzio
la tua voce si desta
e desta il cuore
misericordia e
quiete nell'oblio.
Non ho imparato ancora
a dirti addio.


Poesia di Rita Alessandro Consoli

martedì 12 agosto 2008

Istinti e istanti

Di questo è fatta la vita. Bisognerebbe imparare a usarli con moderazione.
Istinti che ti insegnano a seguire le sensazioni, a non pensare troppo, a lanciarti tra le fiamme. Altri che ti proteggono, ti fanno fuggire lontano, immersi nella solitudine.
Istanti senza parole, senza perché, buoni da ricordare, da assaporarne il profumo.
Fatti dei flutti che s’infrangono sul lungomare di Ortigia, della campagna di Noto, delle acque turchesi, di sorrisi infantili. Altri sono fatti d’inverno, di bicchieri di prosecco e parole infinite. Istinti che ti inducono ad aprire porte socchiuse, a correre, piangere, a trovare pace nelle notti stellate, a ridere a crepapelle senza motivo, senza perché, solo per una buona battuta. E’ l’istinto che conduce verso una risposta o una negazione, verso il trattenersi. Istinto della pazienza, dell’impazienza, dell’attesa, della riflessione.
Istinto delle cose sbagliate, perdute, ritrovate e inventate.
Istanti di amicizia, di percorsi comuni. Istinti di follia, di adolescenza, di cinismo e di timori. Istanti di dolcezza e verità, di confidenze ed empatia, di piccole certezze.
Il mondo è fatto di istinti e istanti, per me, per chi mi sta accanto, per chi ostenta indifferenza e invece trabocca di tenerezza.
Per chiunque corra il maledetto rischio di attraversare la vita a cuore aperto.
Credendo ancora alle stelle cadenti, anche quelle durano un istante e a volte possono scatenare istinti.

Foto Caccia alle stelle cadenti di Exidor X


lunedì 4 agosto 2008

Pause e nuovi tempi

C’è un momento in cui fermarsi è l’unica cosa possibile.
L’arte della pausa, ogni tanto bisogna riprendere fiato. Per non perdere il senso delle cose e ritrovare le forze.
E poi certe volte, quando sale il magone, quello che i poeti chiamano nostalgia di ciò che non è mai successo né succederà più, basta una piccola cosa.
Basta un gesto, un sorriso, l’abitudine di raccontarsi quel che di bello troviamo camminando per strada, il paesaggio che ci accoglie, pazienza se il caldo affanna il respiro e annebbia la vista.
La vita è lì, con le ore che trascorrono, giorni che si susseguono in cadenza, dal lunedì al venerdì, più l’ottavo giorno, la venticinquesima ora, il tempo che non c’è eppure è così grande. Il tempo della nostalgia. “Nulla due volte accade, ne accadrà. Per questo nasciamo senza esperienza, moriamo senza assuefazione.”
Oggi mi piace questa mia vita mai prevedibile.
I tratti, i colori, i rumori, il gesticolare e i gesti. La lingua del dialetto dell’Isola, che scorre e canticchia. Questo disordine che è al tempo stesso osceno e comico. Questa sensazione che il corpo dopo essersi appiattito, disidratato e desessuato torni a gonfiarsi, a riappropriarsi delle sue rotondità e delle sue forme. La luce è ludica, gioiosa, animata da brezze che la screpolano e la rendono capricciosa, mai statica. Profumi che ne richiamano altri, il gelsomino, il fico, l’odore della notte stellata, con cui si azzuffano, carezzando le narici o stringendomi il cuore. Abbondanza. Esibizione. Pienezza.
Si può ricominciare, ancora e ancora.

giovedì 31 luglio 2008

Poesia dorsale

foto di uomo di atlantide

mercoledì 23 luglio 2008

I calci di rigore




La vita si fa camminando senza cartina e non c’è modo di tornare indietro.
La sua tata glielo ripeteva sempre, con la sua saggezza e il caldo abbraccio a cui tornare. Chiudendo gli occhi poteva ancora sentire il profumo di borotalco sulla sua pelle.
Quando era piccola sapeva che nulla poteva accaderle se correva a rifugiarsi da Adele.
L’aveva rimpianta per anni, ora che non c’era più, non aveva nessuno da cui andare.
Era un anima solitaria, più di quanto fosse stata da bambina. Si muoveva nel mondo con la sua risata schietta, il tono di voce alto e occhi che fulminavano.
Erano il suo patrimonio, oltre al cervello e alle parole. Con quelle si manteneva. Provando a scandagliare la realtà, a trovare le crepe e aprire ferite. Era la cosa che sapeva fare meglio. Infilarsi dentro le pieghe di un dolore, di una zona d’ombra e scavare nel buio. Tirare fuori il peggio, far emergere il pus maleodorante, analizzare i fatti per trovare la verità. Da quella creava le sue storie, piene di sfumature del mondo. Di voci, di sussurri, di pensieri che arrivavano dalla strada, di sensibilità, del gusto del dettaglio, dei rumori inascoltati. Come spiriti che serpeggiano leggeri e con cui solo lei poteva parlare.
Non si sarebbe mai abituata a quel regalo. A vivere di una passione. Ancora oggi quando cominciava un nuovo romanzo, sentiva ogni muscolo del suo corpo tendersi. Si chiudeva nel suo studio, accendeva l’incenso, le candele e lasciava che le voci si avvicinassero. Intorno solo i suoi libri, quelli che non avrebbe saputo scegliere, che aveva portato in giro da un trasloco all’altro. Le sue memorie, testimonianze di notti insonni, compagni di viaggio e di umori, spesso la via di fuga dalla propria vita. Tra le pagine aveva trovato alternative alla sua vita, si era inventata mondi paralleli, condiviso dolori e attraversato passioni sconosciute, epoche diverse. Da quelle pagine ne era venuta fuori più forte. Come le aveva scritto il suo amico Dino: “Tu sei molto di più, hai una visione del mondo molto più aperta, hai tanto letto e hai tanto imparato, dai libri e dalla vita. Sei vera, non te lo dimenticare mai, in un mondo di finti. Così ti consiglio di vedere sempre il bene che c'è dentro te stessa, pur subendo le ferite profonde e dolorose della vita. I rigori li sbaglia solo chi ha il coraggio di tirarli, non dimenticarlo mai”.
E Angelica di rigori ne aveva tirati e sbagliati. Non si era mai tirata indietro.
Aveva quasi quarant’anni, anche se continuavano a dargliene di meno. Sarà stata per la sua aria da ragazzina dispettosa, che attraversa il mondo con coraggio sfacciato.
Il profumo di tuberosa, la vaniglia sulla sua pelle. Capelli castani, dai riflessi ramati, mossi con alcuni riccioli scolpiti, mai pettinati e mai asciugati, pieni di sole e sale. La pelle dorata, morbida e abituata al sole. Le mani veloci, che accompagnavano i movimenti, abili e affascinanti, protagoniste di un continuo balletto.
Disegnavano movenze, alzavano i capelli, spostavano ciocche ribelli. Mentre i suoi occhi ridevano, sempre, anche quando raccontava di storie tristi, anche quando si velavano di malinconia. Era così , aveva avuto modo di riesaminare il suo passato, di rendersi conto di chi fosse nella sua essenza.
Quando riusciva a lasciare da parte la crudeltà verso se stessa, avrebbe potuto decidere come avrebbe voluto essere negli anni che le rimassero da vivere.
Si era appropriata del motto di una amica scomparsa: “Si ha solo quello che si dà” e aveva scoperto, sorpresa, che è la pietra angolare della sua gioia.
Ubbidire alla massima “ Dare fino a quando non fa male”. Lo faceva in ogni cosa, nel lavoro, nell’amicizia, nella famiglia che avrebbe voluto tribù, ma che non lo era. E allora provava a incrociare gli affetti, a far conoscere e incontrare le persone che amava, per costruirla la tribù. Le piaceva che ci fosse come un cerchio spirituale e d’affetto intorno. Come uno di quei riti ancestrali delle popolazioni africane o dell’America Latina.
Lei era la sacerdotessa, a lei correvano per consigli, lucidità e affetto. I suoi amici glielo dicevano spesso che era un porto. C’era sempre una tazza di the, un bicchiere di vino e il suo orecchio attento. Aveva un cuore grande. Incerottato, anestetizzato, silente, ma aperto agli altri. Nonostante tutto. Nonostante i tanti amori falliti.
Quando si era separata, si preparò a camminare da sola, perché aveva pensato che sarebbe stato impossibile trovare un altro compagno di vita, con le stesse complici affinità.
Era una persona complessa, autoritaria, indipendente, legata alla sua famiglia tribù, ai suoi amici, con un lavoro difficile da spiegare, che le imponeva di essere sociale, di parlare e stare attenta e insieme un altro che richiedeva solitudine e rifugi.
Non era facile da sopportare. Certo aveva le sue virtù. Per esempio non richiedeva molta manutenzione: era sana, affettuosa. Dicevano fosse divertente, che la gente non si annoiava con lei. Forse lo era, oggi leggeva il suo essere introversa e solitaria come uno dei tratti predominanti del suo carattere.
Questo stesso essere l’aveva messa davanti a molti bivi e tanti fantasmi.
Non riusciva a dimenticarli, li conservava nel cuore, bastava perdersi per un attimo e poteva ascoltare alcune parole. Chissà perché riusciva solo a sentire le più dure. Quelle le frantumavano ancora l’anima, la distruggevano in un milione di piccoli pezzi.
Il suo coraggio, i suoi sensi la conducevano avanti, provava, rischiava, ma c’era sempre un punto in cui tornava al silenzio. Si fermava e riascoltava . Ma chissà perché erano le frasi crudeli quelle che ritmavano come tamburi impazziti.
Ci aveva provato, una volta, un’altra ancora. Aveva concesso ad ogni uomo nuovo un’altra possibilità. Si rimetteva in gioco, donava loro la sua allegria, il coraggio, la sua forza e loro continuavano a deluderla. Implacabilmente. Poi recuperava, come una formica che si prepara all’inverno, briciola dopo briciola, prendeva il meglio di ogni relazione, la trasformava. Diventavano un punto di riferimento, chiedeva loro un abbraccio nei momenti più duri. Eppure certi giorni, si chiedeva se sarebbe mai arrivato il miracolo: trovare un uomo che la sopportasse.
A cui non dover spiegare i contrasti, il bianco e nero della sua anima. Che potesse capire l’abisso in cui era capace di scendere e insieme la sua ingenuità. Quanto contasse per lei la scrittura. Quanto fosse ancora possibile ferirla. A volte pensava che non sarebbe mai finita e che l’insegnamento della vita era questo: essere capace di provare tanto dolore e poi da quello trovare l’ispirazione per le sue storie, rinascere attraverso queste. Credere, ricominciare e cadere ancora. Come un cerchio infinito.
Seduta al tavolino di un caffè, con la primavera che sbocciava. I raggi di sole le attraversavano gli occhi, donandole una luce speciale. Osservava il mondo intorno, alla ricerca di un dettaglio da cui ripartire. E mentre si perdeva nei sotterranei bui della sua anima, arrivò. Come un profumo di zagara o di fresie, che d’improvviso ti ricorda che la natura rinasce e puoi farlo anche tu.
All’angolo della strada, davanti al caffè all’aperto, c’era un signore maturo, con l’aria del gentiluomo d’altri tempi. Capelli bianchi, occhi azzurri, liquidi e sfuggenti. Le ricordavano altri occhi che aveva conosciuto e amato.
Quegli occhi così vividi nel ricordo, così presenti su di lei, vicini ieri e lontani oggi.
Occhi che si nascondevano, che aveva lasciato fuggire, che non aveva inseguito, perché ognuno fa le sue scelte.
Quell’uomo timido, elegante nel suo vestito blu, aveva una rosa gialla in mano.
Immaginò subito la sua storia, era un gioco che faceva sempre. Dovunque.
Era lì con le sue speranze, vincendo l’imbarazzo e il senso del ridicolo, per conoscere una donna. Appuntamento al buio. Magari si erano conosciuti su Internet, oppure non si erano mai nemmeno scritti o parlati. Forse una lettera, la risposta ad un annuncio. Un modo per proteggersi dalla solitudine che incalza, per cercare di colmare il vuoto del silenzio. Per non pensare alle giornate sempre uguali, alla macchinetta del caffè per una tazza, alla spesa al supermercato. A trent’anni sei single, a settanta sei inesorabilmente solo.
Non ci sono parole meno dolorose.
Ma quell’uomo voleva qualcosa di più, era lì dritto su stesso, con una grande dignità e un’infinita dolcezza. Pronto a chiedere ancora alla vita.
Senza difese, senza barriere.
Avrebbe voluto abbracciarlo, dirgli che sarebbe andato tutto bene, che avrebbe trovato un pezzetto dei suoi sogni.
Sentì che se poteva sperare lui, doveva ricominciare a farlo anche lei.
Quel signore era come un segno del destino, avrebbe dovuto accettare le coincidenze. Doveva dire sì all’invito che le aveva rivolto un amico ritrovato dopo tanto tempo. L’aveva guardata come un bambino disarmato, con un’energia disperata, con occhi profondi. Dentro aveva letto qualcosa, non era ancora certa di cosa. Però aveva uno strano istinto. Quello della sacerdotessa, degli spiriti dei protagonisti delle sue storie, dell’inconscio selvaggio delle donne. Anche se ogni tanto faceva fatica a ricordarsi d’esserlo. Fabrizio era un uomo intelligente, di questo era certa. E aveva negli occhi un miscuglio di ambizione e malinconia che lei stessa conosceva bene. Insieme alla tristezza.
Sapeva bene che la tristezza non ti abbandona mai del tutto, rimane sotto la pelle: senza tristezza oggi non sarebbe quella che è e non potrebbe riconoscersi allo specchio.
Tristezza, non un sentimento paralizzante ma piuttosto consapevolezza delle perdite e delle difficoltà che tingono la realtà. Frequentemente le sembrava di dover sistemare il carico per andare avanti senza cadere. C’era in lei molto disordine, spesso aveva come la sensazione di trovarsi sempre in mezzo alla tormenta, pronta a serrare porte e finestre affinché il vento della disgrazia non rada tutto al suolo.
Lui le ricordava se stessa. Questo l’attirava e la disorientava, guardarsi attraverso gli occhi di qualcun altro, leggere nello sguardo di un estraneo le combinazioni della tua anima.
La spaventava e insieme l’eccitava. Forse avrebbe dovuto compiere lo stesso atto dell’uomo con la rosa gialla. Scegliere di tirare un nuovo calcio di rigore.
Poi pensò alla frase finale di un suo libro: “Non c'è mai un'unica vita: c'è quella che ci viene data, poi ci sono le sue rovine e quell'altra che sappiamo ricostruirci sopra. E' la seconda, ad appartenerci”.
Le parole come sempre le vennero in aiuto, spiriti buoni della sua vita, sia nella prima che nella seconda.

lunedì 14 luglio 2008

Il mare

"Sai cos'è bello, qui? Guarda: noi camminiamo, lasciamo tutte quelle orme sulla sabbia, e loro restano lì, precise, ordinate. Ma domani, ti alzerai, guarderai questa grande spiaggia e non ci sarà più nulla, un'orma, un segno qualsiasi, niente. Il mare cancella, di notte. La marea nasconde. È come se non fosse mai passato nessuno. È come se noi non fossimo mai esistiti. Se c'è un luogo, al mondo, in cui puoi pensare di essere nulla, quel luogo è qui. Non è più terra, non è ancora mare. Non è vita falsa, non è vita vera. È tempo. Tempo che passa. E basta."
Oceano Mare di Alessandro Baricco

Per te che senti la mancanza del mare, per te che mi chiami sempre Primavera, che sostieni che sono la brezza marina, che adori i miei occhi perché s’illuminano e contagiano gli altri, che mi riempi la vita di parole e affetto, che ci sei sempre..
Per te che scrivi: “Tu sei bravissima a prenderti cura degli altri. Ora hai bisogno che qualcuno si prenda cura di te. Ed è difficilissimo prendersi cura di qualcuno come te, perché tu sai cosa significa, sai quello che sei disposta a fare e che fai per prenderti cura di qualcuno, ed ogni virgola, ogni carezza, ogni gentilezza ti manca.”
foto di mr.t-80

venerdì 11 luglio 2008

il labirinto

Si può decidere di abbandonare, di non credere, di preferire il labirinto, di vagare nel limbo. Basta solo imboccare uno dei due bivi.
Sinistra o destra, entrambi tortuose e impervie. Nessuna autostrada nella mia vita, non l’avrei amata. Scogliere a picco sul mare, frastagliate e pericolose, buone per un suicidio romantico e melodrammatico. Così ho scelto di vivere, di raccontarmi, di pensare.
Sempre attraverso sentieri tortuosi.
Sempre attraverso parole sinuose e curvilinee. Piene di sguardi e occhi, di labbra e baci, di corpi che si cercano e di allontanano, di mani che esplorano il mondo contenuto nella pelle di un altro. Di esseri umani che non si comprendono, si cercano e si scrutano, si toccano e si evitano, si feriscono e si amano.
Parole per me, per chi è stato e per chi ci sarà domani. Per chi non ci sarà più e forse non è mai entrato. Per le porte immaginarie da aprire e per orizzonti da guardare, per i tramonti che amo e le malinconie che mi appartengono come le lentiggini sul viso, come il sorriso di quando ero bambina e come i sogni che non riesco a smettere di sognare.

Foto Labyrinth di Fotorita

martedì 8 luglio 2008

Pezzi di storia

Alcune persone credono che senza storia, le nostre vite non sono niente. Ad un certo punto, tutti noi dobbiamo scegliere. E’ difficile non essere spaventati dal nostro passato.
La nostra storia è ciò che ci forma, ciò che ci guida. La nostra storia riaffiora volta dopo volta dopo volta. Quindi dobbiamo ricordare... che a volte la storia più importante è la storia che costruiamo oggi.

Foto Blow up di Fotorita

giovedì 3 luglio 2008

Ritorno all'infanzia

Le cose che il bambino ama
rimangono nel regno del cuore
fino alla vecchiaia.
La cosa più bella della vita
è che la nostra anima
rimanga ad aleggiare
nei luoghi dove una volta
giocavamo.

Kahlil Gibran

foto Film di bernardo garden creek

giovedì 26 giugno 2008

Pagine di parole


.. e quando anche le parole, depredate, abusate, stanche, smetteranno per noi di risuonare, bisognerà comunque parlare e scrivere e raccontare il perchè staremo vivendo in un mondo di insostenibile silenzio. (S.F.Gautier)
Foto di mpx 1979

mercoledì 18 giugno 2008

L'incastro perfetto


L’intensità è radicata nella natura dell’essere umano.
Non capita mai di incontrare qualcuno da amare senza danno.
Amare qualcuno non significa necessariamente vederlo o toccarlo, significa cambiare qualcosa dentro di sé, non attraverso l’abbandono, ma perché si è stati segnati, perché si è ricevuta “un’impronta”.
Vuol dire cambiare qualcosa dentro di sé e riflettere sul fatto che questo ti ha reso per sempre un’altra persona.
La vera impronta è quella che ti fa diventare un dipinto: il colore non si altera mai.

L’intensità sta nelle imperfezioni, in quel quid di unico e speciale che ti lega, ti rapisce, ti intontisce. E’ un profumo, un vezzo, quella linea delle labbra, gesti che per altri sembrano assolutamente amorfi e per te diventano l’eccezione. Come se tutto girasse intorno a questo. Chiudi gli occhi e pensi a tutto ciò che l’oggetto del tuo desiderio fa, dice, tocca, guarda. Vorresti essere il bicchiere in cui beve, il maglione che indossa, la tastiera su cui scrive. Vorresti annusare il suo odore, imbottigliarlo e inalarlo quando non è con te.

L’intensità sta nell’incrocio perfetto, quello che riconosci, che provi a negare, perché la paura è più forte di tutto. Sta nelle strade che hai percorso con lui, nei sorrisi che hai regalato, nelle parole, nelle storie narrate, nei sussurri e nei silenzi. In stanze bianche e finestre con vista. Nella verità non detta, nei bizzarri casi del destino a cui non vuoi credere. Nell’imparare a capire, a negare, ad accettare. Nell’essere presente e sfuggente, nel modulare le tue emozioni, nel correre incontro a tutto quello che ti terrorizza e smettere di pensare.
Nella speranza che può ucciderti o renderti raggiante.
Nell’irrazionale che conduce questo mondo e nella lucidità dell’accettazione del vivere.

E’ per l’incrocio perfetto che mi addormento ogni notte e mi risveglio ogni mattina sussurrandomi come una litania: “Andrà tutto bene”.
Infondendomi speranza quando non la trovo.
E’ per l’incrocio perfetto che continuo a commuovermi ascoltando le parole di una canzone, disarmante dichiarazione d’amore: “ A te che sei , essenzialmente sei, sostanza dei giorni miei, sostanza dei sogni miei.”

Forse ho incontrato il mio incastro perfetto, forse non accadrà mai.
L’unica certezza è che quando penserò che qualcuno possa capirmi, leggermi, comprendermi, possa chiamarmi sostanza dei suoi giorni, allora saprò di esser finalmente arrivata a casa.
Foto di Fotorita


lunedì 16 giugno 2008

Tra cielo e terra


''Ciò che fa di noi degli esseri a metà strada fra la terra e il cielo, non sono, come credono i cultori dell'uomo, le virtù intellettuali e morali di cui andiamo così orgogliosi. Il segno della nostra nobiltà è la nostra mancanza: la fame che ci tortura, la bontà che non possediamo, la verità che non conosciamo, la bellezza a cui aspiriamo, il silenzio che ci nasconde, la tenebra che ci avvolge''.
Piero Citati

Foto di gabe. toth

martedì 10 giugno 2008

Sorridi

Vorrei avere lo stesso sorriso spensierato e felice, i suoi occhi sembrano quelli di un personaggio dei cartoni animati. Mette allegria solo a vederla.
Foto Smile in mountain di phitar

domenica 8 giugno 2008

Smiling eyes

Ci vuole uno sguardo così per addomesticare il mio umore selvatico.


Foto di gunnisal

giovedì 5 giugno 2008

Cuore di drago

Dove l’acqua s’impietra e diventa buio ricetto di oscure e sinuose forme
Lì, io ci sono
Dove la terra solida sembra impenetrabile e ostacolo per esseri e presenze
Lì, io ci sono
Dove le fiamme più alte ed il color bianco tutto rende cenere
Lì, io ci sono
Se sollevi lo sguardo e lo punti verso l’assoluto, se senti un richiamo provenire da oltre l’azzurro cielo
Lì, io ti attendo
Albergo nella profondità del tuo cuore e riesco a trasparire nei lampi delle tue pupille; se il tuo animo è calmo io resto avvolto e appisolato, se il tuo spirito urla, io distendo le mie spire ed unisco il mio grido al suo. Il tuo malessere nasce dalla ricerca e dal bisogno di me, la tua parte illusa e manifesta sente la brama della mia eterna assenza.

Nero sono stato per gli iniziati, che a lungo mi hanno cercato prima di approdare alle bianche spume del primo attracco,

Bianco era il mio mantello per colui che forte manteneva il braccio e con sguardo sicuro riusciva ad affrontarmi,

Rosso infine avvampavo, nel suo abbraccio avvinto, ed insieme a lui salivo verso profondità assolute.

Altri tempi ed altra umanità ho conosciuto, ora sornione guardo dal mio antro oscuro e ti guido, questo è un cammino di ricerca. Scosterai velami e ragnatele e forse in questo tuo cammino apprenderai qualcosa di te che non conoscevi. Il mio passaggio nella storia dell’uomo non è mai stato delicato ed indolore, ma i cambiamenti radicali di cui sono apportatore sono sempre stati forieri di maturazioni interiori e profondi apprendimenti.
Rorido di rugiada sorrido ed ammicco, sotto una felce della foresta posta appena al di là della prima porta, attendo.
Attendo te e sorrido.

Io sono il drago!

Foto drago di qifei 2.0

mercoledì 4 giugno 2008

Cambiare punto di vista

Favole al contrario

C’era una volta
un povero lupacchiotto,
che portava alla nonna
la cena in un fagotto.
E in mezzo al bosco
dov’è più fosco
incappò nel terribile
Cappuccetto Rosso,
armato di trombone
come il brigante Gasparone…
Quel che successe poi,
indovinatelo voi.
Qualche volta le favole
succedono all’incontrario
e allora è un disastro:
Biancaneve bastona sulla testa
i nani della foresta,
la Bella Addormentata non si addormenta,
il Principe sposa
una brutta sorellastra,
la matrigna tutta contenta,
e la povera Cenerentola
resta zitella e fa
la guardia alla pentola.

Gianni Rodari
Foto tick tick tick di tonto--kidd

lunedì 2 giugno 2008

Gli effetti secondari dei sogni

Foto Sognosì di io.corallo

giovedì 29 maggio 2008

Divertissement


“Ma sai, cioè in fondo in fondo.. chi parte sa da che cosa fugge, ma non sa che cosa cerca…” Cunusc pure tu a Lell?
Omaggio a Massimo Troisi
Foto si viaggiare di suyensadai

martedì 27 maggio 2008

Perchè il corteggiamento non esiste più?

In un mondo di Peter Pan e Campanellini, giocare sembra essere diventato l’unico modo possibile per affrontarsi. Ci si affronta secondo tattiche utili più ai giochi di ruolo che non ad una volontà di relazione, retta da qualche forma d’affetto.
E’ come una partita di tennis, dove la palla aspetta di essere rimandata da un punto all’altro della rete, ma i giocatori sono dei palleggiatori. Pochi colpi sotto rete, solo interminabili scambi, spesso noiosi. Tutti in attesa di una reazione. Un uomo si
comporta in un determinato modo perché si aspetta una reazione determinata della donna e viceversa. Faccio questo perché tu, di conseguenza, ti comporterai così.
Non c’è alcun divertimento, le donne troppo prese da se stesse, dalle loro scarpe e borse costose, dalla paccottiglia finta che spazia dal silicone alle labbra o alle tette, dalle unghie posticce, alle chiome appiccicate. Gli uomini troppo annoiati, perché corteggiare richiederebbe tempo e impegno.
Forse per entrambi richiede cervello e sembra materiale estinto.
Così ci si muove come dentro una partita infinita, cercando di guadagnare set e game.
Eppure il corteggiamento contiene quegli ingredienti di desiderio, lusinghe, attenzioni e sguardi che lo rende una cosa straordinaria. Sia per chi corteggia che per chi si lascia corteggiare. E’ un atteggiamento antico, fascinoso e pieno di storia.
Perché perdiamo sempre le cose migliori nel nome della globalizzazione?

Foto di fgross

domenica 25 maggio 2008

Le zone opache

Ci sono sempre delle sfumature di grigio in un mondo fatto in bianco e nero.
Sono dei triangoli dove riponiamo le cose che non ci sono chiare. Le parole che avremmo voluto dire e non abbiamo pronunziato, sono angoli di pudore, di vergogna, d’incertezza. Le zone opache, quelle che non abbiamo definito.
Senza un vero nome. Quelle in cui riporre attimi inquieti e pensieri di pace nel desiderio di battaglia.
Ci sono giorni in cui sentiamo che le parole possono spingerci su una china pericolosa e farci dire cose che è meglio tacere.
Io allora ho imparato a rifugiarmi nella mia zona opaca. Lì scelgo il silenzio, quando è possibile mi affido ad uno sguardo, ad un abbraccio. E tutto si dissolve.
La vita diventa più facile. Anche per una donna di parole. Ci sono intese dove le parole non servono, perché le complicità sono più profonde e gli affetti hanno solo bisogno di sorrisi silenziosi.

Foto retrotraveler

giovedì 22 maggio 2008

il tempo dell'aperitivo

Gli aperitivi sono diventati i nuovi supermercati dell’incontro?
Anche loro brevi, veloci, senza l’intimità di una cena vis a vis.
Sono rapidità e scarto. Come quando da piccoli ci scambiavamo le figurine.
Un bicchiere, cibo dannoso e grasso, qualche piatto fusion o vegetariano. Uguali a tutte le latitudini. Gli stessi professionisti o finti tali, da Canary Wharf a Wall Street, Piazza Borsa, da La Defense ai farraginosi ministeri romani, fino alle zone commerciali di una città di provincia. Li trovi tutti lì schierati. Gli uomini sono qualcuno in giacca e cravatta, altri in look alternativo. Hanno tutti lo stesso sguardo, scrutatore e assente. Le donne sono multiformi, variopinte. Potresti classificarle per età, delusioni e speranze, mai pronte a mollare, potrebbero funzionare meglio degli scaglioni ISTAT.
Difficile capire quale categoria tra i due contendenti è più annoiata.
Forse è la vita ad annoiarli. Oppure quella è la loro fascia della giornata preferita.
Dopo un lavoro che non li soddisfa, dopo ore al computer, davanti a colleghi che ucciderebbero.
Nessuno sembra veramente felice. Ma che vuole dire essere felici? Che vuol dire per loro? Per questa massa che si muove tra tacchi vertiginosi, jeans a pelle e cravatte banali.
Cosa cercano? Non c’è allegria vera nelle loro battute, non c’è brio.
Il vantaggio di chi sta cominciando una ricerca è che ha molte fonti, bibliografie e analizza i fatti. Come un piccolo chimico si pone davanti agli esperimenti e prova a categorizzare. Si può applicare su tutto, anche sulle modalità di relazione del mondo umano.
Per questo mi ostino a frequentare le giungle urbane, i paradisi dei single rampanti. Per proseguire la ricerca, per continuare i test.
Ogni volta cerco con lo sguardo qualcuno, fisso una coppia e osservo le sperimentazioni, approcci uguali, risultati diversi.
Ogni volta vorrei dirigere alcune conversazioni, ma lo studioso deve solo osservare, mantenere un “neutral point of view”.
E’ da lì che parte la ricerca, da là che nascono gli studi antropologici. Per i risultati c’è ancora tempo. Intanto c’è un’unica certezza la specie umana ha in sé moltissimi animali.
Basta solo capire chi è pavone, chi scimmia e chi iena. A occhio l’ultima specie è in ascesa.

Foto patatine di pandora

mercoledì 21 maggio 2008

Emozioni a velocità


Velocità, frenesia. Correre sempre, senza sapere perché. Per abitudine, per necessità, per dovere, per il normale ritmo di questa vita.
Dimenticando, scegliendo l’oblio in questa corsa.
Pensare che questo sia il ritmo giusto e riordinare il mondo sotto regole assurde e inutili.
Ogni tanto sembriamo non scegliere di vivere. Invece servirebbe un sano ozio, il gusto della pigrizia, di non lasciarci comandare dal tempo. Di ritrovare il nostro, sentire il battito delle nostre pulsazioni, quello dettato dal corpo, non dalla testa. Quello che ci impone di ascoltare l’istinto, di dimenticare la ragione. Che ci ricorda che noi siamo animali, forse addomesticati, a volte solo perdutamente preda dell’oblio della razionalità.
Chi l’ha detto che tutto debba avere una risposta scientifica e provata. A volte le emozioni più intense sono impiegabili e folli, è quello che ti guida verso qualcuno seguendone il profumo. Lasciandosi attirare dai sensi, dall’odore della pelle. Dalle percezioni animali. Perché in un mondo dove tutto è costruito, queste sono rimaste intatte. Bisogna solo guardare, aprire occhi, naso e mani. Vista, olfatto e tatto. Aprire anche il senso nascosto e lasciarsi guidare.
Senza armature e senza finzioni.
Dell’istinto mi fido.
Mi fido di te, io ti cercherò come un raggio di sole, perché io lo so che non sono solo…. A te Lorenzo, emozioni a velocità ma con il tempo per pensare, sempre.
Per sentire e vivere. Come fosse l’ultimo giorno.


che stupidi che siamo, quanti inviti respinti, quante parole non dette, quanti sguardi non ricambiati, tante volte la vita ci passa accanto e non ce ne accorgiamo nemmeno...(andrea guerra, le fate ignoranti)
Foto la vita che passa di Auro

lunedì 19 maggio 2008

A che età si cominciano a inseguire gli uccelli?


Sabato sera da studio antropologico, in perfetto stile Sex and the city. Anche in una città di provincia. Una serata piena di donne sole, età varie. Nei bar dell'aperitivo, nei ristoranti, ai semafori. Un fenomeno in ascesa.
Apparentemente appagate dalla compagnia femminile e poi basta un nulla e guardi il loro sguardo rapace all'ingresso di un uomo.
Così mi sono fermata ad osservare, con taccuino e occhi aperti. Pronta per un ricerca.
I risultati non mi sono sembrati edificanti. Ma io ho un cervello troppo maschile, cercavo di comprendere, di trovare una motivazione ad alcuni comportamenti.
Credo sia semplicemente natura.
Per cui la domanda che sintetizza il tutto è solo il titolo di questo post.
Perchè non imparare ad essere felici di quello che ci gira intorno? Perchè non smettere di considerarsi prede e predatrici?
Perchè non provare ad essere solo uomini e donne, riprendendo tempi e parole?
Ho imparato una cosa: a volte essere uno studioso dei comportamenti ha i suoi lati positivi.
Lasci fuori i giudizi e analizzi i fatti, sorridendo più di quanto credi.
E facendo preziosa esperienza di ciò che non vorrai mai per te.

Foto di francescomclane

venerdì 16 maggio 2008

Nel cammino

Spesso guardando dove si mettono i piedi, si perde l'orientamento....
Forse ogni tanto è bello avere visioni diverse, non fermarsi ad osservare i propri passi

Foto Des paroles, ques des paroles di Mernas

martedì 13 maggio 2008

Possibilità

Dicono che i giorni sono spesso tutti uguali: non è vero.
Lo sembrano finché non accade qualcosa che sconvolge l’ordine naturale.
E spalanca una finestra.
Basta poco. Perdi tutto e riconquisti tutto.
C’era una bellissima frase di Carlos Castaneda che diceva: “Non puoi sapere cosa ti aprirà gli occhi…Una piccola nuvola nel cielo, gli occhi di una donna e di un vecchio gallo da combattimento. Ma per cominciare a vivere dovrai prima perdere tutto, perdere tutto, perdere tutto…”
In quell’istante ritrovi te stesso, i desideri, il coraggio, la speranza, forse anche i sogni.
La tua vita ti ritorna in mente. Spogliarsi dei fardelli, degli errori, delle colpe, di tutte quelle infinite volte in cui hai detto: “ho sbagliato”.
Nuda davanti alla tua vita, senza abiti, senza tentazioni, senza paure e senza un giudizio. Ripercorrerla, sfogliare un album di fotografie in bianco e nero, dimenticare i colori, lasciarsi solo catturare dalla forza delle immagini, da uno sguardo, da singoli dettagli che catturano l’attenzione.
Capire nella maniera più banale quello che vuoi.
Sapere che c’è sempre una seconda occasione: “Non c'è mai un'unica vita: c'è quella che ci viene data, poi ci sono le sue rovine e quell'altra che sappiamo ricostruirci sopra. E' la seconda, ad appartenerci”.
Svegliarsi e sorridere.
Alle nuove possibilità, alle nuove speranze, alle cose che ho imparato, semplicemente all'idea di essere vivi.

Foto the new hope di kwerfeldein

domenica 11 maggio 2008

Aperture e chiusure

Qualcuno mi ha invitato a riflettere sul mio essere propositiva, sulla capacità di aprire ancora le porte e il mio sorriso. Ma tenere la propria porta chiusa, è come aver finito di vivere...

Foto Blu door di Klearchos Kapoutsis

venerdì 9 maggio 2008

La sottile perversione dell’essere esteta

Foto lavagna esteta di Mr. Fumino

giovedì 8 maggio 2008

Sospesi



Scuro e concreto, lui è per lei ancora alla realtà.
Lei, in cambio, gli è strada per il cielo.
Dividono uno sguardo, forse i pensieri.
Li unisce una mano, stretta forte; un legame che la volontà non spezza.
Ed un segreto vela di tristezza il sorriso di lei.
Vorrebbe svelarglielo e non può; serra le labbra, attende. Se si concentra, forse svanirà. E lo guarda attenta, bevendo dal suo sorriso la forza per conservarlo a lungo.
Non lo conosce lui, ancora: e il suo, di sorriso, arriva agli occhi.
Camminano insieme così, prolungando ancora momenti sereni: buon cibo, vino, parole divise e una tovaglia a fiori.
Hanno alle spalle un destino rosa, di sacralità e devozione; li attende ancora al loro ritorno, ma non ora.
Ora è momento magico, sospeso tra terra e cielo.
E se hanno fortuna, durerà per sempre.

Ho trovato queste righe su Internet, pubblicate da riccio nascosto. Non potrei aggiungere nulla di più. Una descrizione perfetta di un quadro surreale e magico.

domenica 4 maggio 2008

On the road

I still haven't found what I looking for...cantavano gli U2, ma girovagare senza meta può essere molto piacevole. Senza cartine, senza percorso. Con il privilegio di potersi perdere, per trovare nuove vie. Dentro e fuori di sè.

Foto You are where di Idle Type

venerdì 2 maggio 2008

L'oscuro mondo della manicure


Da un po’ osservo uno strano fenomeno, purtroppo dilagante.
La semplicità è sparita, io ho pianto al suo funerale, con il mio sobrio little black dress, avevo pure un elegantissimo cappello – e quando mi ricapitava di poterlo rimettere-.
Oggi una nuova moda ha preso piede: le unghie colorate, finte, vere, quadrate, french manicure, rosse, con brillantini, smalti turchesi,gialli, verde acido, con diagonali e doppi colori.

Per una come me che fa fatica pure a tenerle lunghe perché intralciano la mia velocità di battuta sulla tastiera è veramente un mondo affascinante.
Ho deciso di categorizzare: Dimmi che unghie hai e ti dirò chi sei?

Intellettuale, raffinata, per le altre decisamente banale: mantiene lo stile classico, mai colore, manicure rotonda, al massimo un po’ quadrata, smalto quasi assente, tutt’al più color latte o crema. Less is more è il suo motto.
Il suo fascino sta dietro, nello sguardo, nella parola, la sua femminilità è velata, da scoprire come i sette veli di Salomè. Unico serio problema: dove sono gli uomini disposti a togliere i veli?

Aggressiva, femminile senza tempo: rosso per affermare il suo potere, per mettere in mostra. Una parte di sé ha ancora retaggi di Barbie, anche se ha imparato che: “Non abbiamo un fisico senza cellulite, non siamo bionde con gli occhi azzurri, non abbiamo una decappottabile rosa, non abbiamo solo vestiti sbrilluccicosi, non abbiamo fatto tutti i lavori del mondo semplicemente con un cambio d'abito.”
Però l’ambizione segreta resta, è facile se sei cresciuta con questo prototipo di donna.
Una donna per cui tutto è possibile, una superdonna.
Una donna a cui basta uno stetoscopio per essere medico, un microfono per essere cantante, un uomo vestito da sposo per essere sposa.
Una donna che nella sua vita ha avuto 38 animali, un camper, la patente di volo, 40 lavori diversi, perfino una campagna presidenziale scritta dalla Mattel.
Una donna, che sebbene abbia ben 50 anni, non ha una sola ruga e le sue tette non cedono alla forza di gravità.
In fondo, niente è più diseducativo delle Barbie.
Però le unghie rosse, la fanno sentire così speciale, in genere chi osa ha spesso mani bellissime e curate.

Brilli e scintilli: glitter & co. Splendore sull’unghia. Trionfi di lustrini, in genere adorate da estetiste e manicure, le vere esploratrici delle nuove frontiere. Loro osano, senza vergogna. E poi convincono, trovano adepte tra timide casalinghe in cerca di follie.
Così la categoria raccoglie opposti e contrasti. Per uno stile che si speri passi presto di moda. Solo a guardarle inquietano. E se spaventano me che sono donna, che effetto faranno sugli uomini? Dovrò cominciare un’inchiesta. Una ricerca attenta e accurata. Di sicuro arriverò a risultati stupefacenti. Quasi come le droghe che dovrebbero darmi per vedermi con mani così. Però omaggio alla fantasia e al coraggio


L’ultima frontiera: la diagonale, ovvero il colore o smalto, spesso rosso o bordeaux, viene piazzato solo su un parte dell’unghia e una perfetta diagonale divide. A metà tra il classico e la modernità. Si potrebbe dire il Lucio Fontana della manicure. Avrà dietro una sua estetica, un concettuale estremo.
Il problema è che in genere sia chi le fa, sia chi le porta ignorano chi sia Fontana.
Come dire non puoi pretendere di introdurre una manicure all’arte moderna.

La french manicure e soprattutto le unghie finte: ricostruzione, ovvero la peste degli anni 2000.
Mani assassine che si muovono perfettamente resistenti, immacolate e tutte uguali.
La via all’omologazione. Saranno comode, avranno lunga durata. Ma mi spiegate perché? Io continuo a citare Nanni Moretti: “ Mi sa che anche in una società migliore di questa, io mi troverò sempre a mio agio con una minoranza”.
Dov’è finito il fascino sottile del mangiarsi le pellicine, quel modo di muovere le mani unico di ognuno di noi? Ci avviciniamo alla clonazione, sempre di più. Io proprio non le riesco a vedere.

Dicono sempre che gli occhi parlano di noi, io direi che le mani nascondono lati oscuri.


Foto nails di Unneva

giovedì 1 maggio 2008

Riti e minuetti

Tutte le città sono uguali, c’è lo stesso rito, ci sono flussi migratori e facce identiche.
Cambiano i nomi dei locali e delle strade, ma in fondo è il mondo a somigliarsi, quindi è normale che le situazioni si ripetano.
Lo scenario è facilmente intuibile. Aperitivo tendente al dopo cena. Uomini in cerca d’avventure, donne apparentemente prede e in realtà spietate cacciatrici. Ci si aggira svogliatamente su percorsi sempre uguali.
Un continuo guardarsi per capire chi c’è, chi è disponibile, chi si può portare chi a casa.
Dialoghi pressoché nulli, le solite cose che si ripetono per noia. Merce in esposizione, come immense macellerie del sesso. Solo tagli di carne.
Ma è realmente quello che vogliamo? Una grande bolla di nulla? E’ questo che ci rende felici alla fine di una giornata lavorativa o meglio di una settimana?
Solo un immenso gioco di finzione, fatto di piccoli minuetti tra i sessi, con poca battaglia. A volte penso anche poco desiderio.
Rapporti veloci, nomi che non si ricordano, usa e getta. Sesso solo sesso.
Eppure sembra che alla fine del gioco nessuno sia contento e tutti aspettino il “to be continued”, la seconda parte.
Nell’attesa che arrivi altro. Rapporti a tre, storie che s’incrociano, li guardo seduta al tavolo, con il mio solito sguardo da rapace, pronta ad afferrare il senso delle parole non dette, i movimenti dei corpi. Alla fine la cosa che più terrorizza tutti e l’unica cosa che ricercano realmente è l’intimità.
Tutti, uomini e donne, cercano solo un posto nel mondo. Un abbraccio a cui tornare, qualcosa che li sollevi dalle fatiche degli aperitivi.
Una sana banale intimità. Ma intanto in mancanza di nulla: let’s go party!
Foto three martinis di Sgt Gooch

martedì 29 aprile 2008

Il privilegio del disordine

Ultimamente ho spesso ricercato la solitudine, per fare ordine.
Ognuno ha il suo modo, il mio è chiudermi nel silenzio. Lasciare fuori le mille voci del mondo, quelle con cui interagisco ogni giorno per lavoro e rifugiarmi nella perfezione assoluta del silenzio. Imponendomi di ascoltare le mie voci, i sussurri e le urla. Per mettere a posto.
Stasera in questi momenti segreti è entrata una voce.
Quella di Lorenzo Cherubini, in arte Jovanotti.
Ho sempre detto che sarebbe l’uomo perfetto per me.
Poeta dallo sguardo dolce, dalle mani vive e curiose. Uno che ha una visione da bambino delle cose, che scrive: “ Tu sei sostanza dei giorni miei, sostanza dei sogni miei.”
Cosa potrebbe dirti di più un uomo? “Sei l’orizzonte che mi accoglie quando mi allontano.”
Canta una canzone d’amore “ A te” che non trovo banale, che racchiude in contrasti e dichiarazioni l’essenza di una storia.
Le sue verità, le fragilità, una disarmante ammissione d’amore. Questa canzone me l’hanno regalata di recente e continua a destabilizzarmi, tanto da non riuscire ancora a scriverne.
Lorenzo è uno che poggia il suo occhio alla ricerca delle cose che luccicano.
Così si racconta nell’intervista che ho ascoltato dalla rete.
Parla del privilegio del disordine.
Mi sembra di guardare la mia mente, confusa, con i cassetti tutti aperti, magliette colorate sparse ovunque. Armadi spalancati alla ricerca di qualcosa di perduto.
Però io a differenza sua sono donna e per definizione, dna e storia: noi mettiamo a posto.

Io lo so che non sono solo anche quando sono solo

Foto Lorenzo di gianniansaldi

lunedì 28 aprile 2008

Segni


Silenzi, segnali, sogni, sorrisi.
Sensazioni, sofferenze, sussurri, singhiozzi.
Senso, solitudini, sentimenti, sostanza.
Soffio, scogliere, serpenti, sentieri.
Sassi, stanchezza, salvataggi, sospensioni.
Serenità, sintomi, simbiosi, simpatie.
Seduzione, semplicità, sorpresa, sincopata.

Semplicemente se…


Bouquet di matite colorate foto pencil di Llarandi

domenica 27 aprile 2008

Guardare oltre

"Spingendo quotidianamente i nostri limiti
riusciamo, a piccoli passi,
a superare le paure che ci vietano il possesso
della nostra esistenza"

Angelo d'Arrigo


Foto La storia di un sogno di Fotorita

sabato 26 aprile 2008

Istanti

A volte la vita è fatta di istanti e coincidenze. La felicità sfugge a qualsiasi classificazione scientifica, filosofica o letteraria. E' un refolo di vento teso, non si sa da dove arrivi, ma disperde le nuvole. Respiri. Non sai come sia successo, ma respiri.

La solitudine e la bellezza, come il paesaggio che ho davanti, possono essere doni preziosi.


giovedì 24 aprile 2008

autoritratto


Dicono di me che io sia come un girasole, allegra e solare.
In questa giornata di primavera mi sento esattamente così

mercoledì 23 aprile 2008

Rose, parole, un grazie e un sorriso

A Barcellona oggi si festeggia San Jordi, la festa dei libri e delle rose.
San Jordi, Giorgio per noi, secondo la tradizione sconfisse il drago e dal cespuglio germogliato dal sangue del mostro colse una rosa da donare a Sabra, la principessa liberata. Altre ricorrenze di oggi sono la morte di Cervantes e Shakespeare. Nel 1926 un editore, ebbe l’idea di tracciare una linea comune tra questi eventi, unendo al libro (simbolo della conoscenza e dei due grandi scrittori citati) la rosa (legata a San Giorgio e alla bellezza) dando vita così alla “Festa dei libri e delle rose”.
Gli uomini offrono alla loro amata una rosa ricevendo in cambio un libro. Negli ultimi tempi alla rosa spesso anche gli uomini abbinano un libro per la loro donna.

A me è arrivata anche una poesia. Libri e poesie, perfette per una donna di parola


Toglimi il pane, se vuoi,
toglimi l'aria, ma
non togliermi il tuo sorriso.

Non togliermi la rosa,
la lancia che sgrani,
l'acqua che d'improvviso
scoppia nella tua gioia,
la repentina onda
d'argento che ti nasce.

Dura è la mia lotta e torno
con gli occhi stanchi,
a volte, d'aver visto
la terra che non cambia,
ma entrando il tuo sorriso
sale al cielo cercandomi
ed apre per me tutte
le porte della vita.

Amor mio, nell'ora
più oscura sgrana
il tuo sorriso, e se d'improvviso
vedi che il mio sangue macchia
le pietre della strada,
ridi, perché il tuo riso
sarà per le mie mani
come una spada fresca.

Vicino al mare, d'autunno,
il tuo riso deve innalzare
la sua cascata di spuma,
e in primavera, amore,
voglio il tuo riso come
il fiore che attendevo,
il fiore azzurro, la rosa
della mia patria sonora.

Riditela della notte,
del giorno, della luna,
riditela delle strade
contorte dell'isola,
riditela di questo rozzo
ragazzo che ti ama,
ma quando apro gli occhi
e quando li richiudo,
quando i miei passi vanno,
quando tornano i miei passi,
negami il pane, l'aria,
la luce, la primavera,
ma il tuo sorriso mai,
perché io ne morrei.

Pablo Neruda

Grazie a te che mi hai fatto scoprire che le stelle possono cadere anche a novembre.
Il mio sorriso lo hai.



lunedì 21 aprile 2008

Libertà d'espressione


In barba ai malumori, il drago è tornato.
Irascibile e travolgente
Foto di Turo jr

domenica 20 aprile 2008

Accordi e sincronie


La primavera è sbocciata, la natura e la sua meraviglia. I profumi, l’erba che cresce dal nulla. Osservandola mi ricordo che noi siamo spesso spettatori di qualcosa che si compie indipendentemente. Dovrebbe farmi pensare, a volte serve, specie quando mi sembra di nuotare in direzioni confuse, impegnandomi solo a stare a galla, per impedirmi di naufragare.
Bisognerebbe prendere tutto con più calma e ricordarsi che dopo il letargo arriva la primavera. Almeno per la natura. Per noi, uomini e donne, le speranze diminuiscono.
Non perché non sia possibile, solo perché trovare la sincronia è difficile, infinitamente.
Sembra che tutti o quasi intorno a me s’interroghino su questo. Single, sposate, separate, donne e uomini. La domanda chiave è : “ Troveremo un punto di contatto in cui entrambi possiamo essere solo noi stessi?”
Banale, come le cose importanti della vita. Ascolto le lamentale, i desideri, le speranze di chi mi sta intorno e quelle che sento in me. Ed è come se tutti parlassimo la stessa lingua senza comprenderci. Spalle al muro e pugni chiusi, pronti per la battaglia, per sferrare il colpo. Invece talvolta l'amore è questione di sincronia. Le relazioni umane in genere lo sono. Tempismo e sincronia. D’intenti, desideri e passione.
Di disponibilità di animo e di intenzione.
Sbagliare i tempi, non essere pronti, non avere lo sguardo attento. Non essere pronti a recepire quello che accade, non essere liberi nei pensieri. Tempismo significa anche non avere limiti e non avere paura. Significa trovare i tempi, concordanti, come essere intonati e cantare insieme. Come una danza in cui si volteggia perfettamente coordinati. Avere gli stessi desideri, avere la stessa propensione al compromesso. Avere la stessa voglia di raccontarsi e di mettersi in gioco.
Di crederci. Di fare e di prendersi il lusso anche di non fare.
Di mantenere alte le aspettative, ma senza diventare schiavi l'uno dell'altro.
Darsi la mano e fare come se non si fosse fatto altro fino a quel momento.
Aprire i pugni chiusi e baciare le dita dell’altro, una alla volta. Tendere la mano e regalarla a chi vuole accettarla.
Leggere un libro, cercarsi con lo sguardo ad una festa, cucinare, andare a fare shopping per la casa, camminare senza meta, scegliere un ristorante. E tutto sempre in sincrono, passo dopo passo. Con pazienza e senza nessuna strategia.
Respirando profondamente.